Intervento alla Marcia della pace Camucia-Cortona

Intervento dal palco alla Rocca di Cortona, al termine della Marcia della pace Camucia-Cortona, 18 marzo 1962, pubblicato in parte su «Il Ponte», a. XVIII, n. 4, Firenze, aprile 1962, pp. 593-594.

L’autografo fa parte dell’archivio del Fondo Walter Binni.

INTERVENTO ALLA MARCIA DELLA PACE CAMUCIA-CORTONA

Su questo colle luminoso ed aperto, di fronte ad una valle cosí armonica, vitale, civile, dove i caratteri della Toscana e dell’Umbria sembrano fondersi in un paesaggio di suprema schiettezza, legato da tempi lontanissimi al lavoro e alla civiltà degli uomini, questa nostra libera riunione acquista una tanto maggiore semplicità solenne. Quale conviene ad un atto di consapevolezza e di volontà collettiva al sommo di tutta una severa e lucida esperienza della storia dolorosa e feconda degli uomini. Dopo tanto sudore speso dagli uomini per fecondare la loro terra e costruire la loro civiltà, dopo tanto sangue versato nei secoli lontani e nei tempi recenti e recentissimi, un atto di consapevolezza della situazione decisiva in cui attualmente tutta l’umanità si trova a vivere.

Consapevolezza della potenza che è nelle mani degli uomini, mai come ora cosí grande e benefica se usata per il loro bene, per la loro vita, consapevolezza del male tremendo che tale potenza può provocare se usata per la guerra e la distruzione.

E perciò volontà di scelta lucida e appassionata, del bene contro il male, della vita, della civiltà, della pace feconda e libera, e rifiuto deciso e combattivo della morte, della distruzione, della sopraffazione violenta.

Ciò che per tanto tempo poté essere o sembrare solo una generosa utopia ed illusione – la pace perpetua, l’esclusione definitiva della guerra – si tramuta ora in profondo realismo, perché sulla strada della guerra non si può ragionevolmente intravedere niente altro che l’annullamento dei vinti e dei vincitori, la distruzione della razza umana, una scena desolata e deserta di rovine spazzate da un tempo che non riguarderebbe piú gli uomini.

Spetta a noi, consapevoli di questa scelta risolutiva, immettere nella storia presente questa tensione suprema, questa volontà robusta e disperata: che l’uomo non sia piú costretto come ora a tremare per il suo destino, che non debba piú scegliere fra la servitú e la morte, fra il vivere in ginocchio e il morire in piedi, che l’uomo, con tutta la sua potente razionalità, con tutto il suo appassionato sentimento, con il possesso delle sue scoperte e delle sue tecniche, possa rivolgere tutti i suoi sforzi solo ad una pacifica e giusta convivenza fraterna, alla strutturazione della libertà, della democrazia, della giustizia sociale in tutto il mondo, alla creazione di una realtà umana senza oppressi e senza oppressori, senza padroni e servi, senza il terrore e la fame, senza discriminazioni di razza, di lingua, di religione, di opinioni.

Come piú di cento anni fa, il nostro maggiore poeta moderno, Giacomo Leopardi, al culmine della sua esperienza vitale, rivolgeva a tutti gli uomini un appello di solidarietà senza confini, di riconoscimento della loro comune situazione considerandoli come tutti confederati fra loro, uniti da un vero amore in una lotta comune contro il male e l’avversità di una natura ostile:

tutti fra sé confederati estima

gli uomini, e tutti abbraccia

con vero amor, porgendo

valida e pronta ed aspettando aita

negli alterni perigli e nelle angosce

della guerra comune…

sconfessando come assurde e tragicamente sciocche le guerre fra di loro, cosí oggi dopo tante esperienze di dolore, di lutto, provocate dalle guerre imperialistiche, dalle tirannie fasciste, dalla sopraffazione colonialistica, tanto piú avvertiamo la verità attuale di un simile invito alla solidarietà di tutti gli uomini di fronte ai pericoli tanto piú mostruosi della guerra atomica e della distruzione assoluta.

Ma questo nostro atto di coscienza e di volontà presuppone un’estrema chiarezza di propositi e un’estrema sincerità di tutti gli uomini e già fin d’ora in tutti noi qui riuniti.

Presuppone che chi si unisce a questa protesta e a questa dichiarazione di sí alla pace, di no alla guerra, sia profondamente persuaso dell’assoluta univocità di queste parole, che voglia dare ad esse il loro pieno e autentico significato.

Troppo spesso nella nostra storia parole grandi ed alte (amore del prossimo, libertà, giustizia) sono state pretesto di azioni diversissime. Noi vogliamo che questo divario fra le parole e il loro significato finisca per sempre e che la parola pace sia assunta da tutti, da tutte le parti nella sua pienezza e mai come strumento tattico e provvisorio.

E, pur consapevole di come la stessa lotta per la pace non possa attuarsi solo con le nostre riunioni ed azioni e richieda l’azione politica dei popoli, dei governi, dei partiti politici, la loro azione oculata e combattiva, credo che sarebbero cattivi politici coloro che pensassero di servirsi solo strumentalmente ai loro scopi particolari di questa spinta formidabile della coscienza umana, e sarebbero anche cattivi rivoluzionari coloro che non avvertissero la portata rivoluzionaria di questo rifiuto della guerra e della violenza organizzata.

Solo cosí, lealmente persuasi, tutti coloro che sono qui riuniti e idealmente tutti coloro che guardano alle nostre riunioni con speranza e fiducia, potranno dare alle loro parole, al loro impegno attivo, quella forza, quella validità che sono necessarie a sorreggere un atto di volontà cosí decisivo.

Cosí uomini di partito e di fedi diverse, gelosi della propria fede e del significato della propria scelta politica (socialisti come me, cattolici democristiani, comunisti), uomini e donne delle diverse categorie del lavoro in un’unione che realizza le piú fervide speranze di coloro che combatterono e resisterono in questo nostro paese contro il fascismo e il nazismo, possono convenire in un’azione feconda senza timori e senza reticenze, nella luce fervida e chiara del loro amore per la causa della civiltà umana, per una realtà umana liberata da ogni forma di terrore, da ogni forma di sopraffazione e di oppressione.